I miei racconti


Il desiderio di una stella


C’era una volta una stella che, assieme a mille altre, trapuntava con il suo bagliore
tremolante l’oscurità del cielo. Era il 10 agosto, festa di San Lorenzo, e molte stelle, ubbidendo ad una tradizione ormai consolidata nel tempo,si accingevano a cadere sulla terra. Anche la nostra anonima stella desiderava vivere un’esperienza nuova, nonostante conoscesse i rischi dell’ impresa.

Infatti, lasciare il cielo avrebbe significato per lei non farne più ritorno e questo, francamente,la turbava un po’.
Ma nella vita a volte il rischio è necessario e il piccolo astro luminoso era ormai deciso. Quella notte, prima di compiere il fatidico volo,osservò le sue compagne, immobili e felici del loro stato, ma non si rammaricò affatto di aver voglia di nuove avventure:voleva assaporare l’ebbrezza del volo, voleva cogliere nuove emozioni e viverle fino in fondo…
Sapeva, inoltre, che, scivolando leggera dal cielo, avrebbe permesso agli abitanti della terra di esprimere dei desideri e di vivere perciò una speranza, anche se legata ad una piccola scia luminosa. Chiese quindi al Signore la possibilità di conoscere gli eventuali desideri degli uomini e attese con trepidazione che giungesse l’ora della partenza.

Quando tutto intorno tacque, la stella lasciò il cielo e in quel momento si sentì scuotere da un brivido strano e, dapprima emozionata, raggiunse poi uno stato di torpore. Sentiva che la luce che aveva sprigionato per tanto tempo cominciava piano piano a lasciarla e capiva che stava diventando un corpo opaco e senza vita, ma prima di spegnersi definitivamente le fu concesso di conoscere i desideri espressi dagli uomini osservando la sua scia luminosa.


Una nuova vita, da poco sbocciata, palpitava nel grembo di una donna e questa dipinse con i colori più belli il frutto di un amore sincero, sognando per il figlio un avvenire radioso. Due cuori innamorati, tenendosi per mano, percorsero simultaneamente un cammino intessuto di gioia e serenità; un vecchio pregò ardentemente di sopportare pazientemente la sua croce e un giovane in cerca di momenti migliori sognò che il suo sorriso non si spegnesse mai e che fosse sempre sincero e pulito. Un cuore tormentato dal dubbio desiderò scoprire la verità ed un uomo che stava sprofondando  nel baratro della disperazione, spinto dal cinismo, desiderò alzare il capo e guardare al futuro. Infine un angelo del Paradiso vide cadere dal cielo la stella e pregò che in quella notte di San Lorenzo i sogni cedessero il posto alla realtà. E la stella, privata ormai di tutte le sue forze e della sua prorompente luminosità, se ne andò felice, perché aveva regalato, con la sua breve scia luminosa, un barlume di speranza a tanti cuori. Ed anche se spesso la speranza è sospesa ad un filo sottilissimo, ci sorregge nei momenti più bui e ci invita ad affrontare con coraggio il domani.

La caduta di una stella aveva compiuto un piccolo miracolo d’amore… Anche gli uomini cadono, spesso, e dalle loro cadute, talvolta, nascono miracoli migliori…








Autore: Aida Dattola, insegnante nella scuola primaria da 30 anni, laureata in Pedagogia, ha conseguito un master in didattica della lingua italiana





La signora Pochecose



Era minuta, graziosa, con i capelli grigi raccolti sulla nuca e gli occhiali appoggiati sulla punta del naso. La mattina si svegliava prestissimo e, dopo aver messo in ordine la sua modesta casetta, innaffiava i gerani sul davanzale, dava da mangiare ai colombi che arrivavano mattinieri a darle il buongiorno e poi si affacciava alla finestra. Di buon’ora passava il sindaco del paese, che salutava cordialmente la signora e, sempre indaffarato, si recava in Municipio a lavorare; poi si vedeva il parroco, che andava a celebrare la prima messa e aveva sempre una parola buona da regalarle, e lei ricambiava con un gesto affettuoso e rispettoso, baciandogli la mano. Intanto arrivavano i bambini, che si recavano a scuola accompagnati dalle loro mamme, e la signora Pochecose augurava loro una buona giornata. Sorrideva, la signora, perché i bambini le piacevano tanto e le rallegravano la giornata. Ai più piccoli, che a volte facevano le bizze, regalava caramelle e cioccolatini e subito si calmavano. Quindi la signora si ritirava in casa e dava inizio al rito pacato della sua giornata. Apriva il cassetto di un mobile antico e tirava fuori forbici, ago, filo, metro e un pezzo di stoffa. Appoggiava tutto sul tavolo e, ripetendo mentalmente il consiglio di sua mamma”Cento misure e un taglio”, misurava e rimisurava se stessa e la stoffa, finchè si decideva a tagliare. La signora era una brava sarta, anche molto creativa. Infatti, disegnava da sola i suoi modelli e li riproduceva così bene che tutti, poi, la domenica, quando indossava i capi che aveva realizzato, le facevano i complimenti.

Poi preparava qualcosa da mangiare e, giunta l’ora di pranzo, apparecchiava con cura la tavola e si sedeva da sola, gustando il cibo, che per lei rappresentava un dono del Cielo. Si riposava un po’ e nel pomeriggio usciva per fare qualche acquisto o per visitare la vicina di casa ammalata o per tenere compagnia ad un’anziana signora rimasta sola. La sera cenava e poi andava a letto serena, ringraziando il Signore per averle fatto trascorrere una giornata tranquilla. Nessuno seppe mai i particolari della sua vita; nessuno le chiese mai se si fosse sposata, se avesse dei figli lontani, perché la signora era molto riservata e sembrava venire da un mondo lontano.

Non conosceva l’invidia e il rancore, non sapeva spettegolare, non si adirava mai, era paziente fino al sacrificio ed era silenziosa…Sembrava strana, ma tutti le volevano bene e a lei bastava questo per farla sentire felice. A qualcuno faceva un po’ rabbia la sua incrollabile fiducia nella vita e si chiedeva che senso avesse vivere in quel modo. Dentro di sé la signora sapeva che tutto ha un senso, ed è proprio questo il mistero della nostra esistenza: le cose che a noi appaiono banali sono,in realtà, ricche di significato. Un giorno la signora si alzò come al solito e aprì la finestra del cielo per dare il suo buongiorno agli angeli…Allora capii perché la chiamavano “La signora Pochecose”: semplicemente perché si era sempre accontentata di poco, perchè  aveva capito che in poche cose davvero è racchiuso il segreto di una vita serena, quella che ognuno di noi ha sempre sognato.




Autore: Aida Dattola insegnante nella scuola primaria laureata in Pedagogia.




copyright © Educare.it - Anno XII, N. 8, luglio 2012




             La storia dei bambini senza sorriso


C'era una volta, in un Paese lontano, un re molto cattivo e tanto avido di denaro da costringere anche i bambini a lavorare. Un giorno vietò loro di giocare e ordinò che fosse ucciso chiunque non avesse ubbidito.
Fu un giorno molto triste per le famiglie di quel regno: i bambini spensero i loro sorrisi e si guardarono intorno con occhi malinconici. Il sole, che brillava alto nel cielo, si nascose dietro una nuvola per non assistere a quello strazio.

Il re sembrava non far caso a quanto succedeva e costringeva i bambini a lavorare nei campi, per potersi arricchire ancora di più.
Le strade erano diventate silenziose; non si sentivano più le risate argentine dei bambini che giocavano a nascondino, i giocattoli giacevano nei bauli coperti di polvere... Che tristezza la vita senza i giochi dei bambini! 



Il mago Diritto non sopportò a lungo quella situazione e si presentò a corte. Con il suo fare garbato, ma deciso, disse al re:
-Sua Maestà, io difendo i diritti dei bambini e le assicuro che ogni bambino ha diritto di giocare , perché per lui il gioco è vita e dal gioco impara tante cose.
Il re si mise a ridere.
-Ah, sì- gli disse- cosa può imparare un bambino giocando, se non a sbucciarsi le ginocchia?-
Il mago Diritto diventò serio:
-La invito a far giocare di nuovo i bambini per rendere felice il suo regno.-
Il re aveva già chiamato le sue guardie per farlo cacciare, quando arrivò il giardiniere di corte con le lacrime agli occhi.
-Sua Maestà, mi aiuti, mio figlio sta per morire!-
-Certo- rispose il re- quanto denaro ti serve?-
- No, Sua Maestà, non mi serve denaro... Lei deve soltanto far giocare il mio bambino. Senza il gioco è senza vita ed ha perso il suo sorriso-.
Il mago Diritto guardò il re negli occhi, come per dirgli:
-Avevo ragione?-
E il re, compreso il suo errore, ordinò che tutti i bambini tornassero a giocare.
Le strade del regno si animarono, il sole brillò felice nel cielo e sulle bocche dei bambini tornò il sorriso.
Tutto il mondo fu felice, perché ai bambini di quel regno era garantito il diritto al gioco.






Autore: Aida Dattola, insegnante nella scuola primaria laureata in Pedagogia.




copyright © Educare.it - Anno XI, N. 11, ottobre 2011



       Saggio ginnico in pollaio



Nell’aia risuonò argentino il chicchirichì di Papà Gallo, che richiamava al dovere i suoi pestiferi e giocherelloni pulcini: oggi Mister Pollis, un giovane e impettito galletto amburghese, teneva la sua lezione di educazione fisica! Da poco laureato in una famosa Università per polli e affini, era arrivato in quello sperduto podere con la voglia di mettere a frutto quanto aveva appreso e...perché no? di dare un saggio della sua bravura.
Era un bel galletto e i lunghi anni di permanenza in città non avevano intaccato la sua indole buona; infatti, era rimasto semplice e disponibile e questo gli conferiva un’aria pacioccona che lo rendeva simpatico a tutti.
I pulcini gialli erano felici di fare ginnastica sotto le sue direttive e ubbidivano docilmente ai comandi che venivano loro impartiti.
Le prime lezioni erano state proprio un disastro: quei piccoli impertinenti, nonostante la buona volontà, erano proprio goffi nei movimenti e suscitavano l’ilarità del gruppetto di curiosi che assisteva alle lezioni. Ma il maestro, per nulla scoraggiato, in poco tempo riuscì a ottenere buoni risultati.
Quel giorno, come al solito, i pulcini si radunarono nell’aia e salutarono con gioia Mister Pollis. Poi, tutti in riga, pronti a eseguire gli “ordini superiori”. Giallino era il più distratto e non riusciva a distinguere la destra dalla sinistra, perciò sbagliava sempre.
Attento, Giallino! lo riprendeva Mister Pollis.
Una piroetta, le zampette leggermente divaricate, un difficile esercizio di equilibrio su una sola zampetta e poi, repentino, uno sbatacchiare ritmato delle ali.
Dopodichè i pulcini cambiavano posizione e si piegavano in avanti, fingendo di beccare ripetutamente un inesistente vermiciattolo, poi di nuovo una piroetta e tanti saltelli.
Si poteva dare inizio alle prove generali del saggio ginnico di fine anno. L’usignolo Ugola d’oro era pronto sul ramo di pesco fiorito e, a un cenno di Mister Pollis, diede inizio al suo concerto. Sulle note di quella musica melodiosa i pulcini ripetevano i movimenti, osservando attentamente il loro maestro, che li dirigeva anche con lo sguardo. E quando finiva il numero gli applausi scrosciavano calorosi. Papà Gallo faceva risuonare più argentino il suo trillante chicchirichì e Mister Pollis, ancora più impettito per la gioia, salutava i suoi pulcini, convinto che il saggio di fine anno sarebbe stato un successo!



 copyright © Educare.it - Anno XV, N. 10, Ottobre 2015



Il segreto di Fiabolina



Un vento burlone, soffiando delicatamente tra i rami di un mandorlo fiorito, fece cadere una manciata di petali madreperlacei, dai quali, per il magico intervento di una fata in vena di stravaganze, nacque Fiabolina, una creatura davvero fantastica. Dal padre, burlone, ma gentile come uno zefiro primaverile, ereditò la possibilità di sfiorare con carezze delicate chiunque le si avvicinasse e di sbriciolare la realtà in un pulviscolo di raffinata allegria; dalla madre ereditò un cuore pieno di dolcezza, che la rese amabile.

Per Fiabolina, naturalmente, era difficile adattarsi alla banalità della vita quotidiana, perché nel suo patrimonio genetico predominava la fantasia e il mondo, nel quale regnavano spesso l’egoismo, l’invidia e la cattiveria, le faceva un po’ paura. Eppure doveva viverci e sforzarsi di dare il meglio di sé in ogni situazione, perché questo aveva promesso, un giorno, a chi le aveva donato la vita. Fiabolina era sola. Raramente suo padre la visitava dallo spiraglio di una finestra e le accarezzava la fronte senza farsi vedere, o la avvolgeva, per strada, in vorticosi mulinelli, dimostrandole la sua voglia bambina di giocare. Sua madre vegliava su di lei, ma i suoi numerosi impegni non le consentivano di dedicare un’ intera giornata al dialogo. Questo, per Fiabolina, era un piccolo dramma, ma per fortuna riuscì presto a porvi rimedio.

I suoi primi amici furono i libri e lei ne lesse tanti per cercare di scoprire un mondo che non conosceva e che non finiva mai di stupirla. Tra le tante parole, dense di significato, le capitò di leggere, un giorno, che per gli uomini i ricordi sono molto importanti e sono, in fondo, quelli che si meritano…
Dopo aver a lungo meditato, Fiabolina decise di costruire i suoi ricordi, magari aiutata dalla fantasia. Trovò in soffitta un grande baule di legno, intarsiato, ed incominciò a sistemarli con cura. La sua pazienza certosina le permise di catalogarli:scartando quelli brutti, che tuttavia appartengono alla vita di ognuno, Fiabolina vi riponeva i sorrisi, le strette di mano, le cortesie, le recite di Natale che la facevano commuovere, le note di un’ Ave Maria, le risate, i piccoli sotterfugi e persino qualche bonaria parola di scherno…

Fiabolina custodiva gelosamente questo suo segreto, pensando di essere un po’ strana, ma, grazie alle quotidiane letture, riusciva a trovare una giustificazione autorevole alle sue inconsuete fantasie. "Non si ha una vita se non la si racconta", sosteneva uno dei più autorevoli studiosi, che scrivevano libri “”importanti”, perciò c’era un filo logico che univa quanto lei andava facendo: il racconto, anche un po’ fantastico , della vita, il ricordo che lo immortalava, il baule…
Bene! Anche se il suo rimaneva ancora un segreto, non le appariva così fuori dall’ ordinario. Anche altri come me-pensava Fiabolina-vivono intensamente la loro vita ed hanno magari un baule più bello del mio, senz’ altro diverso….
Chissà-le balenò in testa una di quelle idee bislacche ereditate dalla madre- chissà che non sia anch’io chiusa in un vecchio baule…e un leggero rossore le colorò
il viso.A giocare con i ricordi si azzecca sempre perché, anche se di per sé non sono belli, dentro un baule, coperti dai veli trasparenti del tempo, si colorano delicatamente ed acquistano un fascino particolare. Fiabolina era felice, ogni sera, quando apriva il suo scrigno segreto e metteva ordine fra le sue cose… le sembrava di accumulare un tesoro d’ inestimabile valore e di vivere bene la sua vita, immersa nella realtà e capace di appoggiarsi alla fantasia.

Anche quando la noia della routine soffocava la sua giornata, appiattendola fino a farla diventare apparentemente senza significato, Fiabolina si ritrovava a riflettere, la sera, e c’ era sempre qualcosa di buono da sistemare dentro il baule , magari una parola buona o un gesto gentile: bastava raccontare dolcemente anche le più semplici esperienze per tramutarle in un piacevole ricordo. Passavano gli anni ed il baule era ormai pieno zeppo.

Fiabolina pensava che tutto quel materiale le sarebbe servito a rendere meno pesante una vecchiaia che sentiva lontana, ma che presagiva triste e noiosa e si immaginava, sdentata e rinsavita dal tempo, vivere frugando soltanto fra i suoi ricordi. Passarono gli anni, perché il tempo vola, specialmente se lo si spende bene, e Fiabolina, figlia del vento e di una fata svagata, giunse alla senilità. Era una vecchina simpatica, rugosa, un po’ curva, ma continuava a sorridere,nonostante le mancassero tanti denti.Ora non doveva più correre, non doveva fare la fila , pagare le tasse, lavorare….finalmente poteva starsene chiusa in casa a meditare. Non riusciva più a leggere bene, perché la vista le si era annebbiata, non sentiva più le voci della strada…Solo la tenue carezza di suo padre le sfiorava di tanto in tanto la fronte e la vigile assenza di sua madre le faceva battere forte il cuore.

Fiabolina, creatura fantastica, si sedeva sulla sua poltrona ed apriva il suo baule di ricordi…quanti! Le sua mani tremanti sollevavano con reverenziale rispetto i veli del tempo e ne traevano reliquie lontane, che le restituivano la passata felicità. U n giorno, in quel suo frugare diventato ormai smanioso, le capitò fra le mani n libro. Lesse a stento il titolo "Le gioie dell'amicizia" e lo aprì, avvertendo una strana sensazione. Ne uscì un pulviscolo dorato che, complice sua madre, la fece tornare indietro nel tempo. Si rivide allegra e spensierata in un prato verde, con un aquilone in mano. Correva, Fiabolina, e a lei si univano tanti amici, provenienti dai luoghi più lontani, anche loro con un aquiolone in mano, chegridavano al mondo la loro gioia di vivere e guardavano in alto, verso il cielo, presi dalla voglia di volare. Poi Fiabolina si trovava al centro di quel prato irradiato dal sole, il cinguettio degli uccelli faceva da sottofondo ad un momento di gioia sincera e i suoi amici la circondavano.

Il cerchio si trasformava, come per incanto, in una spirale colorata di mani, di volti, di corpi felici e Fiabolina, osservando il suo aquilone, sentiva esplodere dentro di sé le gioie dell’ amicizia. Perciò lasciava che il suo aquilone vagasse libero nel cielo e tutti i suoi amici la imitavano, conquistando la loro libertà. Poi si regalavano una risata argentina, che raggiungeva i posti più lontani. Lei non era più Fiabolina, ma tutti quelli che le stavano intorno, perché "Non è quello che io sono che conta, ma quello che noi siamo, perché solo l’amore libera dai limiti".

Anche questo pensiero era tratto da un libro letto molto temo prima… Il magico pulviscolo dorato si disperdeva nell'aria e il libro penzolava dalle mani di Fiabolina, che si era addormentata serenamente, accarezzata dal vento suo padre e cullata dalla madre, mentre una manciata di apetali bianchi copriva la sua poltrona... I ricordi custoditi con cura nel baule se n'erano andati con lei, ma il libro no, quello era rimasto; era la ricca eredità di una creatura fantastica e tutti avrebbero potuto leggerlo, correggerlo e continuare a scriverlo… Fiabolina vi aveva lasciato tante pagine bianche.






Autore: Aida Dattola, insegnante nella scuola primaria da 25 anni, laureata in Pedagogia, ha conseguito un master in didattica della lingua italiana.




copyright © Educare.it - Anno VIII, Numero 10, Settembre 2008




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