mercoledì 31 agosto 2016

Sul sito "Erickson Live"è stata pubblicata la drammatizzazione della prima parte de"Il viaggio di Fiabolina", che è possibile scaricare gratuitamente. Sono lieta di condividerla con voi!

martedì 30 agosto 2016

Lettera agli insegnanti di Mario Lodi


Care maestre e cari maestri,
mi è capitato spesso, in questo periodo, di ricevere lettere o telefonate da qualcuno di voi. La domanda che mi viene rivolta con maggiore insistenza è: “Come facciamo a insegnare, in tempi come questi?”. I sottintesi alla domanda sono molti: il ritorno del “maestro unico”; classi sempre più affollate; bambini e bambine che provengono da altre culture e lingue e non sanno l’italiano etc.
Anch’io, come voi, soprattutto nei primi anni della mia attività di maestro, mi ponevo interrogativi analoghi. Ho cominciato ad insegnare subito dopo la guerra. Le classi erano molto numerose. Capitava anche di avere bambini e bambine di età diverse.
Forse qualcuno di voi ha la brutta sensazione di lavorare come dopo un conflitto: in mezzo a macerie morali e culturali, a volte causate dal potente di turno – ce n’erano anche quando insegnavo io – che pensa di sistemare tutto con qualche provvedimento d’imperio. I vecchi contadini delle mie parti dicevano sempre che i potenti sono come la pioggia: se puoi, da essa, cerchi riparo; se no, te la prendi e cerchi di non ammalarti e, magari, di fare in modo che si trasformi in refrigerio e nutrimento per i tuoi fiori.
Il mio augurio per il nuovo anno scolastico è questo: NON SENTITEVI MAI DA SOLE E DA SOLI! Prima di tutto ci sono i bambini e le bambine, che devono essere nonostante tutto al centro del vostro lavoro e che, vedrete, non finiranno mai di sorprendervi. Poi ci sono altre e altri che, come voi, si stanno chiedendo in giro per l’Italia quale sia ancora il senso di questo bellissimo mestiere. Capitò così anche a me, anche a noi. Cercammo colleghe e colleghi che si ponessero le nostre stesse domande e fu così che incontrammo Giuseppe Tamagnini, Giovanna Legatti, Bruno Ciari e altre e altri con i quali costruimmo il Movimento di Cooperazione Educativa. Poi ci sono anche i genitori e le zie e i nonni dei vostri alunni e delle vostre alunne, che possono darvi una mano, se saprete, anche insieme a loro, rendere la scuola un luogo accogliente e bello, in cui ciascuno abbia il piacere e la felicità di entrare e restare assieme ad altri.
Non dimenticate che davanti al maestro e alla maestra passa sempre il futuro. Non solo quello della scuola, ma quello di un intero Paese: che ha alla sua base un testo fondamentale e ricchissimo, la Costituzione, che può essere il vostro primo strumento di lavoro.
Siate orgogliosi dell’importanza del vostro mestiere e pretendete che esso venga riconosciuto per quel moltissimo che vale.

Un abbraccio grande.
Mario Lodi (2010)








domenica 28 agosto 2016

« Insegnami la dolcezza ispirandomi la carità, insegnami la disciplina dandomi la pazienza e insegnami la scienza illuminandomi " Sant'Agostino.
Oggi, festa di Sant'Agostino, Padre e Dottore della Chiesa, le Suore del Monastero di Santa Rita mi hanno invitato a riflettere su queste sue parole, che mi sembrano anche adatte a chi, come me, si prepara a vivere una nuova esperienza scolastica.


Nennolina, una bambina che amava Gesù

I bambini sono il sorriso di Dio e con la loro ingenuità e la loro semplicità ci consentono di credere nella vita e di alimentare la nostra speranza nel futuro. Oggi  desidero parlarvi di una bambina speciale, Antonietta Meo, detta Nennolina, che ha fatto della sua breve vita un'autentica testimonianza di fede e di amore. Nata a Roma il 15 dicembre 1930 in una famiglia" di solidi principi morali e religiosi", quasi di fronte alla Basilica di Santa Croce in Gerusalemme, manifestò  sin da piccola il desiderio di pregare e di dialogare con Gesù, che considerava un amico. Non aveva ancora compiuto cinque anni quando i suoi genitori si accorsero di un rigonfiamento sul ginocchio sinistro: purtroppo era un osteosarcoma! Nel 1936 a Nennolina fu amputata la gamba sinistra. Cominciò così il suo calvario e la straordinaria esperienza d'amore con Gesù. La bambina, infatti, offrì a Gesù il suo dolore, come si legge in una delle tante letterine che scrisse. Addirittura confortava i suoi cari, dicendo:-Quando soffro, io penso subito a Gesù e allora non soffro più!-Considerata la gravità della malattia, la mamma pensò di farle ricevere in anticipo la Prima Comunione e la sera le dava lezioni di catechismo. Da allora la bambina cominciò dapprima a dettare, poi a scrivere da sola le sue letterine, che poneva sotto una statua di Gesù Bambino, convinta che le leggesse. Ne scrisse in tutto 158, rivolgendosi anche  a Santa Teresa del Bambin Gesù, alla Madonna, a Dio e  a Sant'Agnese.
Nennolina era molto devota a Santa Teresina, la santa di Lisieux che aveva promesso di mandare, dopo la sua morte, una pioggia di rose dal cielo, e Nennolina affermava:-Io farò cadere sulla terra una pioggia di gigli-
Il 3 luglio 1937 la piccola lasciava la vita terrena per abbracciare il suo amato Gesù, procurando, con la sua dolcezza, la conversione del dottore che l'aveva in cura.
Dal 1999 riposa nella Basilica di Santa Croce in Gerusalemme. Il 17 dicembre 2007 è stata dichiarata venerabile dal Santo Padre Benedetto XVI.

venerdì 26 agosto 2016

Nei momenti più tragici della vita, quando ti senti impotente davanti a un terribile terremoto, quando hai perso tutto e soprattutto le persone più care, una mano che si protende verso di te è il dono più caro...
Un grazie di cuore a tutte le persone che hanno usato le loro mani per scavare tra le macerie, ascoltando il battito del cuore del fratello che ha bisogno d'aiuto.


venerdì 19 agosto 2016

Bruner  diceva che non si ha una vita se non la si racconta...C'è chi sa raccontarla bene, e attraverso
le sue parole, ci aiuta a vivere meglio la nostra. Ho letto tanti libri nella mia vita e ho sempre voglia di scoprirne altri e di continuare a stupirmi!



domenica 14 agosto 2016

Il libro-casa

Per realizzare il libro-casa gli alunni hanno utilizzato delle buste da lettera, sulle quali hanno disegnato le varie stanze e ne hanno descritto brevemente l'uso





sabato 13 agosto 2016

Burattinando nel mondo della lingua italiana


Il simpatico Mago Accento!

Il signor Punto, la signora Virgola...

Il signor Verbo, la signora Preposizione, il signor Nome...
Sillabino, il simpatico robot che ci insegna a dividere in sillabe le parole




La storia dei bambini senza sorriso illustrata dagli alunni di classe prima

Per sensibilizzare gli alunni di classe prima sul tema dei diritti ho letto loro "La storia dei bambini senza sorriso", da me composta, relativa al diritto al gioco. Successivamente i bambini hanno realizzato un libretto, illustrandola. Ecco il loro lavoro:







martedì 2 agosto 2016

Insegnare, tra meraviglia e personalizzazione


La conoscenza umana è nata da uno stupore iniziale che ha proteso l’uomo verso mete sempre più alte, capaci, ogni volta, di suscitargli vere e proprie emozioni. A chi, come noi, vive quotidianamente l’avventura scolastica, sarà capitato più volte di leggere negli occhi dei bambini lo stupore di fronte alla novità, a una piccola conquista o davanti a un “prodotto” finito. Sarà pure capitato di sentire un applauso finale dopo una lezione particolarmente coinvolgente e sentirsi felici di aver comunicato emozioni, mai fine a se stesse, ma capaci di innescare ulteriori meccanismi di motivazione ad apprendere.

Creare aspettative e sollecitare la domanda motivazionale degli alunni è una dinamica indispensabile dell’insegnamento e compito della scuola è creare le condizioni ottimali affinché ciò si realizzi. Pertanto è necessario personalizzare l’insegnamento, prestando attenzione agli aspetti interattivi e connettivi delle esperienze cognitive. Fondamentale è il rapporto tra docenti ed alunni, che deve essere caratterizzato dall’accoglienza, dalla propositività, dalla comunicatività e dalla ricerca di motivazioni. Ogni docente deve rappresentare per gli alunni un modello da seguire ed imitare (modeling); essere guida, compagno di viaggio e sostegno (mentoring) e saper porsi in una relazione diretta e personale (tutoring).

La personalizzazione diventa dunque uno degli indicatori maggiormente significativi della qualità dell’insegnamento. Motivazioni reali, relazioni logiche e soluzioni di problemi rappresentano gli elementi imprescindibili di ogni procedimento didattico.

Personalizzare l’insegnamento significa trovare un punto d’incontro significativo tra i “metodi” e gli “stili cognitivi”, che rappresentano l’elemento dinamico, soggettivo, variabile, ricercando le strategie più idonee per raggiungere la meta prefissata e utilizzando i linguaggi più adatti, per soddisfare la sete di sapere degli alunni. Ciò che più conta, quindi, non è tanto stabilire misure standardizzate sul loro rendimento, quanto identificare i punti di forza e i lati deboli di ciascuno: lo strumento più adatto a tal fine è l’osservazione continua in una varietà di situazioni e di condizioni, per rilevare vari comportamenti ed abilità .

L’attenzione va focalizzata su modi, stili, livelli di comprensione più che sull’immagazzinamento mentale dell’informazione. La personalizzazione comporta una flessibilità operativa calibrata sulle potenzialità e sulle richieste del singolo.

La scuola, per rispondere in modo adeguato alle pressanti richieste di una società in rapida evoluzione, deve accompagnare e sostenere gli alunni in un processo di crescita che li aiuti a diventare uomini liberi e capaci di gestire in modo autonomo il futuro. La scuola dell’ autonomia, recependo le istanze più significative del mondo contemporaneo, dovrebbe garantire percorsi formativi personalizzati, considerando l’alunno nella sua dimensione di persona unica ed irripetibile, portatrice di valori. E proprio questa ”esclusività” del rapporto educativo deve garantire ad ognuno lo stupore di fronte alla novità di un sapere che è costante ricerca e costruzione personale, che rifugge da schemi stereotipati e da “pacchetti” preconfezionati per diventare possibilità di offrire risposte nuove e significative a problematiche emergenti. La conoscenza deve produrre un cambiamento dentro di noi e perché ciò avvenga deve essere pregnante, suscitando le stesse emozioni che i nostri progenitori provarono “scoprendo” il mondo circostante e mai spegnendo, con inutili o sterili pseudosaperi, l’ansia di crescita insita in ognuno di noi.


Una scuola laica, pluralista e democratica consente all’alunno di utilizzare gli strumenti culturali ed emotivi come risorse. La scuola dell’autonomia garantisce a ciascun alunno la possibilità di esprimere le proprie potenzialità,  garantendo percorsi personalizzati e perciò proficui, perché in grado di tradurre le capacità personali in competenze in un contesto formativo stimolante e vario, in cui la logica del sapere è coniugata con quella del saper essere e del saper fare. Perciò trovarsi in un laboratorio e sentire un alunno esclamare con gioia, dopo aver completato la sua casetta realizzata con la tecnica dell’origami: «Guarda, maestra, l’ ho fatta io!», significa aver perseguito un obiettivo fondamentale del nostro insegnamento, che è quello della conquista personale del sapere, in cui il ruolo del docente è quello del facilitatore procedurale, che indirizza senza imporsi e stimola senza prevaricare.

Quando i bambini fanno: ”Oh, che meraviglia!” possiamo esser certi di vederli crescere, perché il mondo, con le sue bellezze e le sue contraddizioni, non finirà mai di stupirli: a noi il compito di insegnare a guardarlo con immutato stupore! 





copyright © Educare.it - Anno XV, N. 4, Aprile 2015

lunedì 1 agosto 2016

Insegnare il silenzio a scuola


di Aida Dattola, su www.educare.it (3/10/2011)



In un mondo dominato dalle chiacchiere, a volte inutili, altre volte dannose, è ancora possibile parlare del silenzio, o questo deve essere considerato appannaggio di pochi eletti anacoreti che scelgono di ritirarsi in luoghi deserti, fuggendo dalla banalità della vita quotidiana?

Un vecchio proverbio recita: “Il silenzio è d’oro”, probabilmente perché, in determinate situazioni, può diventare la migliore forma di comunicazione: attraverso il silenzio, infatti, è possibile guardare meglio dentro noi stessi e ascoltare gli altri, migliorando le nostre relazioni sociali. Chi vive l’esperienza didattica sa quanto oggi sia importante e difficile educare all’ascolto i nostri bambini, impegnati piuttosto a parlare. La classe, piccola struttura sociale, diventa spesso un luogo privilegiato di chiacchiere, tanto che per noi docenti la conquista del silenzio appare come pura utopia.

Eppure, a volte, capita che gli stessi bambini, forse desiderosi di una pausa al loro logorroico periodare, rivolgano alle insegnanti la richiesta: "Maestra, facciamo il gioco del silenzio?". A me è capitato spesso e li ho assecondati con piacere, pregustando momenti di serenità. Un giorno, per caso, ho scoperto che del gioco del silenzio aveva parlato addirittura Maria Montessori e ho voluto approfondire le mie conoscenze in merito.

La lezione dell’insigne pedagogista è significativa, perché per lei non si tratta di un espediente per favorire uno stato di quiete, ma di un vero e proprio esercizio, che sospende le normali attività e porta a controllare ogni minimo movimento per arrivare a un livello superiore, in grado di staccare il bambino dai rumori del mondo esterno.

Lei stessa racconta com’è nata questa sua riflessione, tradotta successivamente in prassi didattica. Un giorno si trovava in classe e teneva in braccio un bambino che dormiva; ha invitato gli alunni a osservarlo: era così tranquillo e sereno che addirittura potevano percepirne il respiro! Li ha sollecitati al silenzio e così loro, attratti dalla novità del momento, hanno evitato ogni rumore.

Che esperienza straordinaria! Si potevano avvertire il ticchettio della pioggia e il canto di un uccello lontano… Era, per quei bambini, un’attività davvero coinvolgente, che avrebbero ripetuto volentieri.

Montessori suggerisce di ottenere, in una prima fase, il silenzio del gruppo: la maestra darà l’esempio, mantenendo un comportamento discreto o compiendo, in modo misurato, dei semplici gesti che lo richiamino; dapprima solo pochi bambini resteranno colpiti e la imiteranno, ma in modo graduale tutti riusciranno a conquistarlo. Successivamente, l’insegnante può sussurrare il nome dei bambini dal fondo della stanza, da dietro la porta o dal giardino, naturalmente chiamando per primi coloro che fanno più fatica a stare in silenzio.

Dopo il silenzio di gruppo si può arrivare a quello del singolo. Quando ne avverte il bisogno, il bambino può preparare il materiale necessario (un materassino, un cartellino con la scritta “Silenzio”, o altre immagini utilizzate dall’insegnante), una clessidra e un cuscinetto ripieno di lavanda per gli occhi; dopo aver disposto il materiale, si sdraia e si posiziona il cuscino sugli occhi. I simboli utilizzati servono per gli altri bambini, ai quali si richiede che non disturbino il compagno.

Imparando a scoprire il valore del silenzio, i piccoli lo cercheranno per soddisfare la loro voglia di ascolto, che è un ottimo mezzo per imparare l’autocontrollo e per stabilire relazioni positive con gli altri. Certo, ogni insegnante può utilizzare vari espedienti per il perseguimento dell’obiettivo prefissato; può raccontare una storia, come quella del mago Silenzio che arriva in classe e avvolge con il suo mantello magico tutti i bambini o focalizzare la loro attenzione su un suo gesto (ad esempio quello di toccarsi la punta del naso), invitando la classe ad imitarlo….naturalmente con la bocca chiusa! Insomma, si può imparare il silenzio considerandolo una vera e propria attività scolastica.

Credo che la lezione di Maria Montessori sia oggi quanto mai attuale, perché per imparare a comunicare è necessario saper ascoltare e, per farlo, occorre eliminare le parole inutili e stare un po’ a contatto con sé stessi, per far proliferare, dal silenzio, le parole migliori.

In un mondo dominato dalle chiacchiere, a volte inutili, altre volte dannose, è ancora possibile parlare del silenzio, o questo deve essere considerato appannaggio di pochi eletti anacoreti che scelgono di ritirarsi in luoghi deserti, fuggendo dalla banalità della vita quotidiana? Un vecchio proverbio recita: “Il silenzio è d’oro”, probabilmente perché, in determinate situazioni, può diventare la migliore forma di comunicazione: attraverso il silenzio, infatti, è possibile guardare meglio dentro noi stessi e ascoltare gli altri, migliorando le nostre relazioni sociali.

Chi vive l’esperienza didattica sa quanto oggi sia importante e difficile educare all’ascolto i nostri bambini, impegnati piuttosto a parlare. La classe, piccola struttura sociale, diventa spesso un luogo privilegiato di chiacchiere, tanto che per noi docenti la conquista del silenzio appare come pura utopia.

Eppure, a volte, capita che gli stessi bambini, forse desiderosi di una pausa al loro logorroico periodare, rivolgano alle insegnanti la richiesta: "Maestra, facciamo il gioco del silenzio?". A me è capitato spesso e li ho assecondati con piacere, pregustando momenti di serenità. Un giorno, per caso, ho scoperto che del gioco del silenzio aveva parlato addirittura Maria Montessori e ho voluto approfondire le mie conoscenze in merito.



La lezione dell’insigne pedagogista è significativa, perché per lei non si tratta di un espediente per favorire uno stato di quiete, ma di un vero e proprio esercizio, che sospende le normali attività e porta a controllare ogni minimo movimento per arrivare a un livello superiore, in grado di staccare il bambino dai rumori del mondo esterno.


Lei stessa racconta com’è nata questa sua riflessione, tradotta successivamente in prassi didattica. Un giorno si trovava in classe e teneva in braccio un bambino che dormiva; ha invitato gli alunni a osservarlo: era così tranquillo e sereno che addirittura potevano percepirne il respiro! Li ha sollecitati al silenzio e così loro, attratti dalla novità del momento, hanno evitato ogni rumore.Che esperienza straordinaria! Si potevano avvertire il ticchettio della pioggia e il canto di un uccello lontano… Era, per quei bambini, un’attività davvero coinvolgente, che avrebbero ripetuto volentieri.


La Montessori suggerisce di ottenere, in una prima fase, il silenzio del gruppo: la maestra darà l’esempio, mantenendo un comportamento discreto o compiendo, in modo misurato, dei semplici gesti che lo richiamino; dapprima solo pochi bambini resteranno colpiti e la imiteranno, ma in modo graduale tutti riusciranno a conquistarlo. Successivamente, l’insegnante può sussurrare il nome dei bambini dal fondo della stanza, da dietro la porta o dal giardino, naturalmente chiamando per primi coloro che fanno più fatica a stare in silenzio.


Dopo il silenzio di gruppo si può arrivare a quello del singolo. Quando ne avverte il bisogno, il bambino può preparare il materiale necessario (un materassino, un cartellino con la scritta “Silenzio”, o altre immagini utilizzate dall’insegnante), una clessidra e un cuscinetto ripieno di lavanda per gli occhi; dopo aver disposto il materiale, si sdraia e si posiziona il cuscino sugli occhi. I simboli utilizzati servono per gli altri bambini, ai quali si richiede che non disturbino il compagno.
Imparando a scoprire il valore del silenzio, i piccoli lo cercheranno per soddisfare la loro voglia di ascolto, che è un ottimo mezzo per imparare l’autocontrollo e per stabilire relazioni positive con gli altri. Certo, ogni insegnante può utilizzare vari espedienti per il perseguimento dell’obiettivo prefissato; può raccontare una storia, come quella del mago Silenzio che arriva in classe e avvolge con il suo mantello magico tutti i bambini o focalizzare la loro attenzione su un suo gesto (ad esempio quello di toccarsi la punta del naso), invitando la classe ad imitarlo….naturalmente con la bocca chiusa! Insomma, si può imparare il silenzio considerandolo una vera e propria attività scolastica.
Credo che la lezione di Maria Montessori sia oggi quanto mai attuale, perché per imparare a comunicare è necessario saper ascoltare e, per farlo, occorre eliminare le parole inutili e stare un po’ a contatto con sé stessi, per far proliferare, dal silenzio, le parole migliori.




Il desiderio di una stella


            
C’era una volta una stella che, assieme a mille altre, trapuntava con il suo bagliore
tremolante l’oscurità del cielo. Era il 10 agosto, festa di San Lorenzo, e molte stelle, ubbidendo ad una tradizione ormai consolidata nel tempo,si accingevano a cadere sulla terra. Anche la nostra anonima stella desiderava vivere un’esperienza nuova, nonostante conoscesse i rischi dell’ impresa.

Infatti, lasciare il cielo avrebbe significato per lei non farne più ritorno e questo, francamente,la turbava un po’.
Ma nella vita a volte il rischio è necessario e il piccolo astro luminoso era ormai deciso. Quella notte, prima di compiere il fatidico volo,osservò le sue compagne, immobili e felici del loro stato, ma non si rammaricò affatto di aver voglia di nuove avventure:voleva assaporare l’ebbrezza del volo, voleva cogliere nuove emozioni e viverle fino in fondo…
Sapeva, inoltre, che, scivolando leggera dal cielo, avrebbe permesso agli abitanti della terra di esprimere dei desideri e di vivere perciò una speranza, anche se legata ad una piccola scia luminosa. Chiese quindi al Signore la possibilità di conoscere gli eventuali desideri degli uomini e attese con trepidazione che giungesse l’ora della partenza.

Quando tutto intorno tacque, la stella lasciò il cielo e in quel momento si sentì scuotere da un brivido strano e, dapprima emozionata, raggiunse poi uno stato di torpore. Sentiva che la luce che aveva sprigionato per tanto tempo cominciava piano piano a lasciarla e capiva che stava diventando un corpo opaco e senza vita, ma prima di spegnersi definitivamente le fu concesso di conoscere i desideri espressi dagli uomini osservando la sua scia luminosa.


Una nuova vita, da poco sbocciata, palpitava nel grembo di una donna e questa dipinse con i colori più belli il frutto di un amore sincero, sognando per il figlio un avvenire radioso. Due cuori innamorati, tenendosi per mano, percorsero simultaneamente un cammino intessuto di gioia e serenità; un vecchio pregò ardentemente di sopportare pazientemente la sua croce e un giovane in cerca di momenti migliori sognò che il suo sorriso non si spegnesse mai e che fosse sempre sincero e pulito. Un cuore tormentato dal dubbio desiderò scoprire la verità ed un uomo che stava sprofondando  nel baratro della disperazione, spinto dal cinismo, desiderò alzare il capo e guardare al futuro. Infine un angelo del Paradiso vide cadere dal cielo la stella e pregò che in quella notte di San Lorenzo i sogni cedessero il posto alla realtà. E la stella, privata ormai di tutte le sue forze e della sua prorompente luminosità, se ne andò felice, perché aveva regalato, con la sua breve scia luminosa, un barlume di speranza a tanti cuori. Ed anche se spesso la speranza è sospesa ad un filo sottilissimo, ci sorregge nei momenti più bui e ci invita ad affrontare con coraggio il domani.

La caduta di una stella aveva compiuto un piccolo miracolo d’amore… Anche gli uomini cadono, spesso, e dalle loro cadute, talvolta, nascono miracoli migliori…







Autore: Aida Dattola, insegnante nella scuola primaria da 30 anni, laureata in Pedagogia, ha conseguito un master in didattica della lingua italiana







copyright © Educare.it - Anno X, Numero 11, Ottobre 2010